domenica 26 ottobre 2008

Introduzione al libro Affari Cinesi

Estratto dal libro Affari Cinesi

I manuali sulla Cina, voltata e rivoltata da ogni punto di vista, hanno sommerso gli scaffali delle librerie, così come le pubblicazioni tecniche sugli aspetti societari, fiscali e legali sulle attività in Cina. Consulenti, esperti, avvocati internazionalisti, hanno autorevolmente detto tutto su questi aspetti. Non intendiamo dunque ripercorrere questi passi, vogliamo invece fornire un manuale di istruzioni pratico, concreto, pragmatico a chi, imprenditore, manager o consulente, si trova di fronte a concreti problemi operativi nella gestione delle China Operations.
Sono voci dal campo, estratti di vita quotidiana di chi si trova ogni giorno ad affrontare i problemi che la corsa alla Cina presenta quotidianamente, a fianco di imprenditori, manager e personale italiano delocalizzato. Il taglio che troverete su questo testo è quindi di tipo industriale e manageriale, steso con un linguaggio il più possibile piano, mutuato dal quotidiano dell’industria e del management. Non c’è pretesa di completezza e esaustività nella trattazione, intendiamo limitare il campo alle modalità operative, ai casi pratici, agli esempi, cercando, dove possibile, di offrire un contesto culturale per la migliore comprensione del fenomeno Cina. Il solo intento è quello di cercare di far sbagliare un pò meno gli operatori, fornendo esperienze già vissute che possono servire da esempio, monito o indirizzo.
Saremo comunque costretti a citare in molti casi aspetti legali e amministrativi, che non approfondiremo in questa sede, ma che possono essere di grande interesse per i lettori.
Rimandiamo quindi da subito al sito di Dezan Shira & Associates, la maggiore struttura consulenziale italiana in Cina, con 9 uffici nelle maggiori città cinesi, oltre duecento dipendenti e collaboratori diretti. Il sito di riferimento, dal quale sono accessibili molte aree di approfondimento specialistico è http://www.dezshira.com/
Qualora anche l’approfondimento nel sito non fosse sufficiente, maggiori dettagli possono essere ottenuti inviando una mail a italiandesk@dezshira.com
Analogamente, per l’approfondimento degli aspetti strategici e operativi che non trovino adeguata soddisfazione in questo manuale, possono essere richiesti a bosco@keenscore.com
A conclusione di questa introduzione, due parole sugli aspetti morali ed etici del lavorare in Cina.
Non è certo questa la sede per una trattazione sui diritti umani e sulla situazione sociale cinese, che pur rappresentano un elemento importante del contesto socio-economico del Paese, e che sono sempre nello sfondo di chi vi opera, ma mi piace ricordare un episodio che a mio avviso rappresenta bene quello che oggi l’intellighenzia cinese, anche quella non allineata, pensa del sistema sociale.
A cena con un docente dell’università di Shenzhen, di grandi vedute e di grande preparazione culturale, gli argomenti toccano gli aspetti etici del sistema economico cinese. Ad una mia precisa domanda in merito ai diritti civili, il docente mi risponde con una affermazione a cui, al momento, non ho trovato replica:

“Il sistema cinese ha tolto dalla povertà 300/400 milioni di persone negli ultimi 20 anni. Questo è il primo diritto civile. Nessun altro sistema al mondo ha saputo fare altrettanto”.

Come dire: stiamo stiamo uscendo da 40 anni di isolamento internazionale e di sviluppo bloccato. Prima pensiamo a sfamare la gente, poi penseremo alla democrazia.
Possiamo condividere o meno. Certo, fa riflettere.
L’impressione che si ha vivendo in Cina, è che il sistema conosca perfettamente le sue contraddizioni, e che agisca per risolverle, con i tempi e le modalità concesse da un Paese di 1 miliardo e 300 milioni di persone, modalità poco note, o poche comprese in Occidente.
Ad esempio, non si ha notizia in Italia della recente delibera del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese che ha fissato come una delle maggiori priorità del Paese la copertura del gap nei redditi tra città e campagna. Questo aspetto sintetizza tutte le grandi contraddizioni del Paese, le differenze di reddito sono la fonte della sperequazione tra classi sociali, con tutto quello che ne consegue. Anche la politica dello sviluppo delle città cosiddette “di seconda fascia” (all’interno del Paese, fuori dalle zone costiere che si sono sviluppate per prime), con forti incentivi all’investimento, e creazione di importanti poli industriali e tecnologici, rientra in questa politica di perequazione dei redditi.

Indice del libro Affari Cinesi

Estratto dal libro Affari Cinesi

1) Introduzione
2) Diversità culturali: cosa significa nel mondo degli affari in Cina
3) Fragilità strutturali delle PMI italiane
- La dimensione aziendale
- Scarsa disponibilita di risorse umane qualificate.
- Scarse competenze linguistiche
- Basso cash flow disponibile per gli investimenti
- Difficoltà a fare sistema
- Ulteriori elementi critici per le PMI in Cina
4) Panorama delle imprese italiane in Cina
5) Errori più comuni nell’approccio al mercato cinese
- Struttura organizzativa
- Fidarsi dei cinesi
- Risparmi finti - costi veri
- Replicare i modelli
6) La gestione delle risorse umane nelle unità delocalizzate
- Selezionare e assumere personale cinese
- La nuova legge sui contratti di lavoro
7) Produrre in Cina per vendere nel mondo
- Cedere know how per mantenere la competitivita' in Italia
- Case history
8) Comprare in Cina
- Traders, produttori, compratori: comprare qualità
- Organizzarsi per l’acquisto professionale
- I contratti OEM
- La Ricerca e Sviluppo da parte dei fornitori
9) Vendere in Cina
- Mercato al consumo: “Italian Style – China Made”
- Segmentazione del mercato “consumers”: il fenomeno “Chyuppies”
- Qualcuno copre i bisogni
- Come si costruisce il sistema Italian Style - China Made
- La maggiore obiezione: la protezione della proprietà intellettuale
- Gli strumenti per vendere in Cina
- Non ci facciamo mancare nulla, se non ci copiano i cinesi ci copiamo da soli. Il caso del vino auto-contraffatto
- La vendita nel settore industriale
- Italian Style - China Made nel settore industriale
- Seguire il cliente
- Cina su Cina
- Know How in cambio di fatturato e quote di mercato
10) Pillole di competitività
- Competitività quotidiana
- La scuola elemento chiave di competitività
11) Il mondo dei “Private Equity Funds”
12) Strumenti di informazione


Allegati

A) Regole della Due Diligence Operativa
B) La nuova Legge sul lavoro

La scuola elemento chiave di competitività

Tratto dal libro Affari Cinesi

La scuola cinese è selettiva, meritocratica, competitiva, costosa. Gli studenti sono terrorizzati prima dai severi esame di ammissione, poi dai voti, che possono compromettere l’ammissione alle Università più prestigiose. Le famiglie fanno risparmi enormi per far studiare i figli, avendo capito che la scuola è un elemento chiave del loro futuro successo.
So di famiglie che hanno organizzato vere e proprie collette, si sono autotassati nonni, genitori, fratelli maggiori, zii, per mandare all’Università il figlio minore.
La formazione per adulti in Italia interessa circa 220.000 persone. In Cina, il solo Training College of the National Statistic Bureau, Ente di formazione nazionale, facente capo all’equivalente cinese del nostro ISTAT), prevalentemente dedicato alla formazione per adulti, originariamente solo nell’area statistica, ora a tutto campo, opera sul territorio cinese con 147 Training College, e 510 Technical Schools.
Le persone, sia dipendenti di Enti Pubblici che di aziende private, pagano di tasca propria il costo della formazione.
L’Ente ha formato, dal 2005, 1.600.000 persone, e ogni anno accompagna alla laurea 23.400 persone. Sono cifre notevoli, anche per un Paese grande come la Cina, soprattutto pensando che si tratta solo di uno degli innumerevoli Enti di Formazione pubblici cinesi.
Le Università cinesi hanno la fila di studenti stranieri fuori dalla porta. Un tempo il sogno di tutti erano le Università americane, ora tutti, americani compresi, vogliono frequentare la University of Science and Technology of China o la Tsinghua University, detta anche il MIT cinese.
Gli studenti stranieri in Italia rappresentano il 4,3% della popolazione scolastica. In Europa le cifre sono ben diverse: i dati sono questi: in Svizzera gli studenti stranieri sono il 23,6%, in Germania il 10%, in Olanda il 13%, in Spagna il 5,7%, in Portogallo il 5,5%, in Francia il 5%.

Elementi di competitivita'

Estratto dal libro Affari Cinesi

Sempre in tema di competitività, che dire della velocità di realizzazione delle grandi opere pubbliche? La Cina ha completato la costruzione del ponte più lungo del mondo su un braccio di mare. Si tratta dell’Hangzhou Bay Bridge, un opera di 36 chilometri che attraversa il mar della Cina orientale.
Il ponte di cemento e acciaio batte di gran lunga altre strutture analoghe come quella che unisce il Bahrein all’Arabia Saudita di soli 25 chilometri e potrebbe unire la Gran Bretagna alla Francia attraverso il canale della Manica. É costato circa 1,5 miliardi, coperti per il 29 per cento da capitale privato.
La sua struttura è fatta per resistere ai tifoni che spesso colpiscono quel tratto di mare a sud di Shanghai, così come a cedimenti del terreno. Per la costruzione di questa che è una delle opere più ambiziose della Cina ci sono voluti tre anni di lavoro.

(Serve un consulente per il ponte sullo stretto di Messina?)

Know How in cambio di fatturato e quote di mercato

Estratto dal libro Affari Cinesi

Un esempio di perfetta integrazione, di massima ottimizzazione delle risorse e delle diverse esperienze delle aziende italiane e cinesi è quello di importante gruppo tessile italiano, molto attivo anche nel settore della confezione e della distribuzione di moda-donna.
La loro strategia integra in maniera molto efficiente il concetto di Italian Style – China Made, ottimizzando al massimo l’efficienza del sistema Cina-su-Cina, ricalcando, perfezionaldolo, il modello presentato nel precedente Grafico 7.
Bisogna premettere che parliamo di un gruppo molto consistente, in cui il problema non è piú come entrare in Cina, ma come scovare sempre nuove opportunità di investimento e di crescita. Quindi non è la problematica della piccola azienda che vuole mettere un piede in Cina , ma quella di una grande azienda che vuole radicarsi, aumentare quote di mercato, fatturato e margini.
La loro strategia, comunque, è illuminante e merita una descrizione.
L’Azienda gestisce da molti anni diversi marchi commerciali, non abbastanza forti da stare in piedi da soli in Cina in negozi monomarca, come invece avviene in Italia e in Europa.
Gli investimenti per superare la soglia della visibilità per questi marchi in Cina sarebbero stati davvero pesanti, (i parametri di riferimento nel marketing e pubblicità sono ovviamente gli irrangiungibili brand della grande moda italiana e francese) e i ritorni incerti e comunque lunghi.
Inoltre, il loro prodotto posizionato nella fascia media in Italia sarebbe stato probabilmente out dal mercato medio cinese, che trova prodotti analoghi (cinesi) a prezzi decisamente inferiori. Si sarebbe poi dovuto fare un re-sizing di tutte le collezioni per adattarle alla diversa conformazione fisica delle donne cinesi; per un prodotto a ricambio veloce, di prezzo medio-basso, questo poteva essere molto oneroso.
Tutte operazioni comunque fattibili e assolutamente alla portata di una grande azienda, ma, come dicevo, dall’esito incerto e molto lento; la soglia d’ingresso si rivelava piuttosto elevata.
L’Azienda cercava invece opportunità di investimenti, fatturato, quote di mercato e utili a breve.
Hanno quindi deciso di puntare sui loro elementi forti: la perfetta conoscenza dei metodi distributivi, del marketing del prodotto fast fashion , la grande capacità e flessibilità nello styling. Sanno esattamente come servire le donne della classe media, conoscono perfettamente il profilo delle consumatrici a cui si rivolgono, hanno una grande capacità di creare immagine e stile inconfondibilmente italiano. Ed esperienza da vendere. Insomma, tutto il know how necessario.
Con questi asset in portafoglio hanno iniziato una ricerca di partner industriali in Cina che disponessero di capacità produttiva, di un proprio marchio e soprattutto di propri canali distributivi diretti....
...
Il marchio è ora uno dei piú noti ed apprezzati marchi cinesi nel settore donna, e l’azienda esegue un monitoraggio costante dei nuovi Centri Commerciali in cui aprire nuovi punti vendita. Presidiare subito le nuove location è diventato adesso il loro must.

Cina su Cina

Estratto dal libro Affari Cinesi

Il meccanismo triangolativo Cina su Cina merita di essere spiegato in dettaglio trattandosi di una modalità utilizzata sempre di piú, e con ottimi risultati, da parte di grandi e medi gruppi italiani.
É qualcosa di piú rispetto a quanto abbiamo già visto nella costruzione del sistema Italian Style – China Made...

...Si tratta di un’operazione piuttosto complessa, che richiede presenza e stabile organizzazione in Cina, con personale italiano, e una forte assistenza consulenziale per gestire correttamente sia i passaggi burocratici che gli aspetti contrattuali e doganali, in quanto la materia prima per la costruzione dei componenti viene, in questo caso, importata dal Giappone via Hong Kong.
É però un modello di grande forza e impatto, e costituisce una base per uno sviluppo delle vendite sia sul mercato interno cinese che sugli altri limitrofi mercati asiatici. É basato sullo sfruttamento della massima efficienza economica dei mercati e degli attori dei mercati stessi.
Si tratta, in questo caso, di una piccola azienda italiana specialista in una innovativa applicazione nel settore footwear, che sfrutta un proprio brevetto applicativo, che talvolta cede in licenza a produttori cinesi, insieme alla tecnologia necessaria per usarlo.

....Si tratta in questo caso di un importante Gruppo industriale italiano, con un marchio storico e notissimo nel mondo, fornitore di uno specifico componente per la calzatura. La loro organizzazione tende a creare un nuovo hub per tutto il settore Asia-Pacific, replicando, e migliorando, un loro modello organizzativo già applicato negli Stati Uniti.
Lo schema che riportiamo nella pagina successiva (Grafico 9) ricalca in qualche passaggio quello precedente, con una forte variazione. La Società ha costituito un grande Centro di Ricerca e Sviluppo che, in coordinamento con il Centro italiano, svilupperà e testerà nuovi materiali, prodotti e applicazioni per il mercato specifico.

Seguire il Cliente in Cina

Estratto dal libro Affari Cinesi

Per molte piccole e medie imprese italiane, la delocalizzazione più o meno vasta della produzione da parte dei loro maggiori clienti è stata un vero trauma. Per quelle di maggiori dimensioni, una grande opportunità .
Molte piccole imprese, fornitrici di elettronica o componenti nel campo dell’automotive, si sono trovate di punto in bianco davanti alla richiesta del loro Cliente di fornire centraline, sistemi di controllo, componenti sofisticate, non più a Reggio Emilia, Modena o Bologna, ma magari a Guangzhou, vicino al loro nuovo stabilimento cinese, naturalmente a prezzi cinesi.
Guanzhou?
Queste piccole aziende hanno impiegato anni per diventare fornitori accreditati di un grande marchio, e nel momento in cui si stavano un pò rilassando, ripagati dei loro sforzi e dei loro investimenti, questo si inventa Guangzhou, o Shenzhen, o Foshan, o qualche altra città cinese dal nome impronunciabile, per molti probabilmente solo dei puntini in una carta geografica che non avevano forse mai osservato con attenzione. Per chi conosce la Cina, città con milioni di abitanti.
Ma il mondo si muove, e molte piccole imprese hanno dovuto fare di corsa quei passi che, se pianificati, sarebbero stati molto più facili. Quindi ancora investimenti, ancora risorse, ancora fatica. Ma solo perchè siamo terribilmente in ritardo e non ci siamo accorti di quanto veloce corre il mondo.

Italian Style - China Made nel settore industriale

Estratto dal libro Affari Cinesi

In questo caso, ancor più che nel settore consumo è solo questione di tempo. Il sistema industriale cinese ha dimostrato di possedere una capacità di aggiornamento tecnologico e di innovazione impensabili per le nostre abitudini anche grazie ai forti investimento in R & D delle ricche industrie cinesi, e allo stretto rapporto con le Università Tecnologiche cinesi.
L’idea che possiamo continuare a vendere impianti ai Cinesi, senza preoccuparci di localizzare la produzione in Cina, o di fare accordi per lo sfruttamento in loco delle tecnologie italiane, porterà a risultati drammatici per le imprese italiane.
Non va infine dimenticato, che le alleanze industriali in Cina non hanno esclusivamente finalità interne al mercato cinese. La Cina sta diventando il riferimento per gli acquisti per moltissimi Paesi in via di sviluppo. certamente è un mercato di riferimento per gli altri Paesi asiatici, ma ora anche per l’Africa, con la quale la Cina ha stretto fortissimi legami politici e commerciali.
Essere presenti in Cina con una capacità produttiva altamente competitiva significa affacciarsi a tutto il mondo in via di sviluppo, affamato ora di tecnologia e prodotti industriali sviluppati, ma a breve anche di prodotti di consumo. Dobbiamo quindi vedere la Cina come una piattaforma anche commerciale, e in questa logica le decisioni di insediamento sul mercato cinese devono avere una visione complessiva, strategica, dello sviluppo mondiale.

Non ci facciamo mancare nulla. Se non ci copiano i Cinesi ci copiamo da soli: il caso del vino auto-contraffatto

Estratto dal libro Affari Cinesi

Mi viene quindi il dubbio che si tratti di un vino contraffatto, infatti anche la qualità del vino della della bottiglia è lontana mille miglia da quella che conoscevo bene.
Scrivo quindi una mail al produttore e metto in copia il General Manger del ristorante (sono fatto cosi, prevale sempre lo spirito del giornalista).
Il Manager mi risponde piuttosto arrabbiato, sostenendo che quella era l’indicazione ricevuta dall’importatore, e che non potevano certo conoscere tutti i vini del Nord (la catena di ristoranti è di proprietà di persone del centro Italia).
Mi risponde anche il Presidente della Società proprietaria del Marchio, che porta lo stesso nome, con una lunga mail nella quale sostanzialmente si sostiene che:

1) I Cinesi non capiscono nulla di vino

2) L’importatore aveva chiesto una linea di prodotto più bassa da proporre al mercato, dato che la loro linea standard era troppo costosa per i Cinesi.

3) Si era inventato un nome di fantasia per sostituire il nome della propria Società come produttrice, e non legarlo ad un prodotto scadente (aveva però’ purtroppo mantenuto insieme al nome di fantasia del produttore il proprio notissimo marchio commerciale, che ovviamente aiuta la vendita, tanto è vero che l’ho comprato anch’io, che quell marchio conosco molto bene)

4) Il vino era comunque “piú potabile di tanti altri” (letterale!)

5) L’Azienda deve mantenere fatturati e quote di mercato.

Non riuscivo a crederci, si era copiato da solo!

Case hystory semi-comica

Estratto dal libro Affari Cinesi

Uno dei racconti dei miei clienti che mi ha fatto maggiormente sorridere, pensando alla improvvisazione, e alla scarsa conoscenza della Cina, riguarda un imprenditore emiliano, invitato in Cina con la proposta di acquisto di una sua macchina. L’imprenditore arriva a Shenzhen, e viene invitato a discutere in un noto ed elegante ristorante.
Durante la cena vengono messi a punto i dettagli del contratto che in quella sede però i Cinesi si guardano bene dal firmare (ma sarebbe stato lo stesso). Alla fine della cena, viene presentato il conto del ristorante all’imprenditore: quasi 4.000 Euro per una cena di 5 persone.
L’imprenditore paga, un pò stupito del costo, ma non sa nulla della Cina. Carta di credito e via. Quel ristorante non fa pagare più di 15/20 Euro a persona per una cena. I suoi interlocutori cinesi avevano organizzato una combine con il ristorante. Qualche migliaio di Euro in tasca facili.
L’imprenditore è ancora convinto di fare l’affare e torna in Italia, ma i suoi interlocutori non si fanno più vivi. Si rivolge alla sua Associazione imprenditoriale che ha una convenzione con le nostre Società di consulenza.
Ci attiviamo subito, ma dalla prima descrizione capiamo che si tratta di una truffa alla Totò. Ovviamente l’azienda cinese non esiste, non ha la business license, non ha un ufficio. E chissà quanto altri potenziali venditori ha attirato nella loro trappola..

Pragmatismo cinese

Estratto dal libro Affari Cinesi

Hanno imparato a menadito la lezione di pragmatismo di Den Xiaoping, che in un discorso al Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, l’8 Luglio 1983 diceva:

“Dovremmo fare uso delle risorse intellettuali degli altri Paesi, invitando gli stranieri a partecipare allo sviluppo dei nostri progetti in diversi campi. Non abbiamo riconosciuto quanto questo sia importante, e quindi non abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. In fatto di modernizzazione non abbiamo esperienza nè conoscenza. Non dobbiamo avere paura di spendere per assumere degli stranieri. Non importa quanto restino per poco tempo, per lungo tempo, o solo per un progetto. Una volta che sono qui, bisogna sfruttare al meglio le loro conoscenze. Dovremmo aprire il nostro Paese al mondo esterno, e chiedere aiuto ai Paesi europei per velocizzare la nostra trasformazione tecnologica. Dovremmo fare lo stesso anche con i Paesi dell’est europa, perchè alcune loro tecnologie sono piuà avanzate delle nostre. La Cina può fornire loro un grande mercato, e questi Paesi sono molto disponibili a sviluppare la collaborazione con noi. Dobbiamo cogliere questa opportunità, è una questione di importanza strategica.

Lungimiranza e pragmatismo allo stato puro, notevole per una persona di quasi ottant’anni !

Comprare in Cina

Estratto dal libro Affari Cinesi

Ho visto alcuni di questi comprare direttamente da alibaba.com (il piú grande portale per gli acquisti in Cina), senza aver mai incontrato il fornitore, senza vedere l’azienda, magari anche senza aver visto un campione. Tutti i traders professionali in Cina usano alibaba.com per la sua vastità, completezza, efficienza, e rapidità di consultazione, ma a nessuno di loro verrebbe mai in mente di piazzare un ordine on line di un container, e di pagarlo pure in anticipo. Alibaba.com è la modalità piú semplice per la ricerca, ma poi si devono mettere in moto i contatti diretti e il Controllo di Qualità in Cina.
Molte volte quindi, questi compratori occasionali lasciano cadere l’iniziativa dopo alcune esperienze negative, diffondendo in Italia l’idea del Made in China scadente, inaffidabile, insicuro.

Lo raccontino a Toyota, Mercedes, BWM, Volkswagen, ai grandi stilisti italiani che producono in Cina, o ai grandi produttori americani di elettronica o di cellulari! (l’80% dei cellulari del mondo è prodotto in Cina).
Persino il caso dei giocattoli americani MATTEL ritirati dal mercato perche prodotti con modalità e materiali pericolosi, si è smontato con l’ammissione da parte della multinazionale americana che il problema è nato da un loro errore di progettazione.
I giornali italiani, spesso superficiali e approssimativi, hanno dato grande risalto al problema, ma non ho letto una riga, o forse mi è sfuggita, tanto probabilmente era ben nascosta, sul fatto che il Presidente della Mattel è volato in Cina a scusarsi personalmente con le autorità cinesi per la cattiva immagine del Paese che questa situazione aveva diffuso.
Le televisioni cinesi, ovviamente, hanno dato un enorme risalto a questo fatto.
In Cina quindi, è ampiamente dimostrato, si possono produrre prodotti di qualità identica a quella europea, ma la cosa non avviene da sola.

Selezionare personale cinese

Estratto dal libro Affari Cinesi

Selezionare figure manageriali in Cina quindi non è affatto facile. Naturalmente esistono molte eccezioni, e sono tutte il frutto di esperienze maturate all’interno di grandi aziende straniere, prevalentemente americane, europee o giapponesi (ricercatissimi nel settore automotive i tecnici provenienti da Toyota o Volkswagen).
Queste imprese investono metodicamente e massicciamente nella formazione del personale, fornendogli quel plus di competenze manageriali che la scuola cinese non è evidentemente ancora in grado di fornire.
Queste figure naturalmente conoscono il valore aggiunto della propra competenza manageriale, e ovviamente parlano un ottimo inglese. Di conseguenza, lo stipendio di un Ingegnere che normalmente potrebbe aggirarsi intorno ai 7.000 – 10.000 RMB/mese, schizza velocemente a 12.000 -15.000 RMB/mese.[1] Il solo fatto di parlare un buon inglese, normalmente fa lievitare di un 15/20% lo stipendio, per tutte le figure professionali.
Un’altra importante ragione per utilizzare Società di Consulenza nella selezione del personale riguarda gli aspetti contrattuali e di gestione del personale. Esiste un meccanismo molto intricato di bonus, house allowance, social costs, ecc. per cui talvolta si finisce per non capire bene quanto ci costerà in effetti la persona che stiamo assumendo.
Un ultimo aspetto riguarda le motivazioni del personale manageriale. L’aspetto economico è naturalmente rilevante per un Cinese (come lo è per un italiano o un tedesco), ma non è il solo elemento che lo farà propendere per l’accettazione dell’incarico. L’immagine e la reputazione dell’Azienda e del suo brand, il suo posizionamento di mercato, le prospettive di carriera che vengono proposte, sono tutti elementi tenuti in grande considerazione dai candidati di valore, insieme ad un elemento che a noi sembra banale, ma in Cina non lo è affatto: il titolo formale che viene assegnato alla persona (General Manager, piuttosto che Factory Manager, QC Manager, piuttosto che Quality Engineer, e così via. Una abitudine molto anglosassone, piuttosto sottovalutata dalle imprese italiane).Proprio per tutti gli aspetti che ho appena citato, la giusta scelta del personale dirigente in Cina è assolutamente essenziale. Non dimentichiamo che starà poi a loro selezionare il resto dello staff, e da loro quindi dipende la qualità generale delle risorse umane.
[1] Stipendio lordo del dipendente. Include le quote di imposte e oneri a suo carico

Risparmi finti, costi veri

Estratto dal libro Affari Cinesi

Questo elemento è molto forte nella prassi di avvio di una Società in Cina. Come dicevo, nasce dalla presunzione di poter agire in Cina sulla scorta delle proprie esperienze, considerandole sufficienti ad affrontare le sfide cinesi. Non è così . Dopo un pò tutti diventano consapevoli che la Cina è un mondo diverso. Questa tardiva consapevolezza può costare cara.
Un altro elemento legato ai finti risparmi è la scarsa propensione all’investimento che, combinandosi con la scarsa conoscenza del Paese, fanno diventare costi veri quelli che sembrano risparmi, che si rivelano quasi sempre finti.

Vediamone alcuni:

  • Affidarsi ad un economico studio legale e amministrativo cinese, anziché ad una struttura internazionale (piú costosa)
  • Selezionare il personale sulla base di indicazioni, suggerimenti, raccomandazioni del partner o del contatto locale
  • Scelta del partner con cui avviare le operazioni. Anche in questo caso c’è molta occasionalità. Spesso il partner è una conoscenza superficiale o quasi. Al partner cinese viene talvolta affidata la completa gestione della Società. Il controllo è molto scarso. Gli effetti disastrosi, in termini economici ma anche di responsabilità legale (fisco e diritto del lavoro in particolare)
  • Avviare una iniziativa sulla base di pochi dati parziali. Abbiamo visto casi di imprese gasate dal mercato, sulla base di un esperienza di alcuni giorni o alcune settimane in Cina. Qualche spettacolarità, in cui i Cinesi sono abilissimi, è sufficiente a convincere l’azienda che la Cina è il suo futuro, e che il partner è quello giusto.
  • Non eseguire una due diligence prima di avviare una JV o addirittura di acquisire in parte o in toto un’azienda cinese. La due diligence è uno strumento di estrema utilità
  • Emettere ordini ad aziende sconosciute
  • Non eseguire controlli di qualità

Come ci vedono i cinesi

Estratto dal libro Affari cinesi

Voglio citare un episodio vero, con una certa amarezza, ma bisogna prendere atto di tutto quello che non è stato fatto per promuovere l’Italia in Cina, e del fatto che l’industria italiana è solo un pezzo del sistema, che non può vincere da solo la battaglia del mercato cinese.
L’episodio è questo: il General Manager di una importante azienda pubblica cinese, di cui sono amico, mi chiede un aiuto per organizzare un viaggio di studio in Italia per una ventina di dirigenti. Non un viaggio al risparmio, il budget era adeguato, poteva essere una buona occasione per aprire un nuovo, piccolo ma qualificato canale, al turismo cinese in Italia.
Mi do da fare per cercare sui siti istituzionali italiani filmati, immagini, descrizioni in cinese. Cerco anche nel sito più istituzionale, quello dell’ENIT, ma non trovo uno straccio di filmato promozionale da proporre al Cda dell’Ente (mettiamoci in testa che i Cinesi conoscono pochissimo dell’Italia, e che se vogliamo attrarre i loro flussi turistici bisogna mostrargliela).
Decido allora di costruirmi un piccolo filmato amatoriale, mettendo insieme le foto più suggestive di Venezia, Roma, Firenze, Milano, e mettendo in sottofondo una canzone di Pavarotti. Ne era venuto un discreto lavoro, una sintesi condensata delle bellezze italiane.
Orgoglioso per il piccolo contributo che stavo apportando al nostro Paese, invio il filmato al mio amico per presentarlo al Consiglio di Amministrazione della sua Società, a sostegno della proposta di viaggio in Italia. Aiuto il mio amico anche a costruire un itinerario e ad avere dei preventivi da tour operatori italiani (che in quanto a immagine scadente hanno fatto la loro parte). Alcuni dei Consiglieri però si sono dichiarati più favorevoli ad un viaggio in Francia, ed è passata questa proposta contro quella del mio amico Direttore che proponeva l’Italia. Quando ho chiesto la motivazione della scelta, la risposta ha letteralmente mandato a pezzi le mie residue speranze sulle capacità del nostro Paese di farsi valere per quello che è, o è stato. La risposta, più o meno, è stata:

“L’Italia è un Paese che si è appena affacciato alla modernizzazione, ed è appena uscito dalla miseria !”

Questo è quello che siamo riusciti a trasmettere ai Cinesi dell’immagine italiana. Così i Cinesi considerano Ferrari, Prada, Valentino, Versace, Bottega Veneta, delle punte di eccellenza in un panorama di miseria.

Mi è venuto da chiedermi se non sia davvero così.

Vino italiano in Cina: chi l'ha visto?

Estratto dal libro Affari Cinesi

Troviamo invece piazzati in maniera eccellente la Spagna, la Francia, e i grandi produttori di vino cileni, neozelandesi, sudafricani, californiani, che stanno letteralmente invadendo gli scaffali dei supermercati. Nessuna traccia dei nostri grandi olii (quelli a marchio italiano presenti sono già di proprietà spagnola), dei prodotti tipici italiani, dei succhi di frutta, dello scatolame di qualità (ben piazzati tedeschi e americani).
Pochissimi i vini italiani, ripartiti in due grandi livelli: il livello Brunello (venduto a oltre 2.000 RMB, e i modestissimi e anonimi rossi da tavola, abbigliati per l’occasione con una sgargiante etichetta-civetta, venduti sotto i 200 RMB (Sono prodotti che alla cantina hanno un prezzo inferiore ai 2 Euro). I nostri Prosecco e Franciacorta? I nobilissimi vini Piemontesi, Toscani, Friulani e Siciliani? Nessuna, o al massimo qualche pallida apparizione. Le problematiche statistiche cinesi dicono che l’import del vino in Cina è raddoppiato nel 2007, che la Francia ha pure raddoppiato le sue esportazioni nello stessso anno, arrivando a quota 15.517,251 di litri, l’Italia è ferma a quota 5,113,181, seguita dalla Spagna a quota 3,399,425 litri.Con una quota di mercato del 37% in volume, la Francia gode di una posizione privilegiata e difficilmente scalzabile. In termini di valore la posizione è ancora piú forte, assommando l’export a 56,3 milioni di Euro, mentre in questa classifica è seguita dall’Australia (19,8%) e dall’Italia (9,7%). Questo significa che non solo esportiamo poco vino, ma riusciamo ad esportare soprattutto vino economico. Al contrario, la media del prezzo all’import dei vini francesi nel 2007 è salita del 25%., a fronte comunque di un incremento medio del prezzo dei vini importati del 60%.
..
Nel 2000 il governo cinese indisse una gara per mettere a dimora 24 ettari di viti a Taishi, nella fredda provincia dell’Hebei (a circa 100 kilometri da Pechino, e per fornire tutti gli impianti di lavorazione dell’uva e di produzione del vino. Si tratta di un’azienda dimostrativa (denominata Sino-French Grape Growing and Winemaking Demonstration Farm, inaugurata il 13 Novembre 2006, dopo 5 anni di lavori), ma che, come vedremo, ha già buone attività commerciali.
La gara fu vinta da una Società di Consulenza Franco-Cinese (la France-Tech-China Ltd)[1], con sedi a Bordeaux e Hong Kong, e con un ufficio a Shenzhen, che ha messo a dimora le viti, e ha fornito tutti gli impianti di cantina.
Le 16 varietà di vitigni messe a dimora sono ovviamente rigorosamente francesi.
A noi Italiani, maestri nella produzione dei macchinari e impianti per la vinificazione, oltre che mastri vinai, questa gara deve essere sfuggita! Gli impianti forniti dai francesi per questa iniziativa, sembrerebbero essere italiani, secondo la descrizione del sito, ma il cuore commerciale e industriale dell’iniziativa è tutto dei francesi.
La Società Franco-Cinese autrice dell’iniziativa, dichiara apertamente su un sito francese,[2] di avere come obiettivo la vendita ai contadini cinesi di piccolo impianti (in kit) per la produzione del vino, e di voler creare la prima DOC cinese.
Ora la Società ha cominciato a produrre il proprio vino e a commercializzarlo nella grande distribuzione. La politica di prezzo è estremamente oculata, i vini rossi sono posizionati intorno ai 16-18 Euro, molto al di sopra dei vinelli (o vinacci) cinesi, che troviamo a 3-4 Euro, ma appena al di sotto dei vini europei di primo prezzo, che si trovano a partire da circa 20 Euro.
Questi vini potrebbero ben essere venduti al pubblico a 8-10 Euro, sicuramente ancora con margini interessanti, ma sia i produttori che la Grande Distribuzione se ne guardano bene dal farlo, e mantengono il loro posizionamento intorno ai 18 Euro. Da cosa deriva questa loro capacità?
Dal semplice fatto che l’etichetta riporta molto in evidenza che il vino è si cinese ma fatto con la famosa tradizione francese (specificando di Bordeaux). Quindi, vino cinese ma tecnicamente francese. I nomi dei vini poi, riportano la dicitura Chateau. Come dire: French Style – China Made. I francesi ci hanno pensato prima di me, non ho inventato nulla.

Sistema Italia in Cina: la nuova sfida dei consumi

Estratto dal libro Affari Cinesi

Il sistema Italia ha la possibilità di un forte recupero sul ritardo nella propria presenza in Cina.
Le esportazioni verso la Cina stanno aumento fortemente, ma l’Italia rappresenta ancora solo l’1% circa delle importazioni cinesi, e l’interscambio commerciale con la Cina la pone al 10.mo posto della classifica (pur essendo cresciuto del 22% nel 2006, e sia ancora in crescita). Il disavanzo commerciale dell’italia con la Cina continua però a crescere a tassi intorno al 20%, il che significa che il sistema Italia sta aumentando le importazioni dalla Cina molto più di quanto riesca ad aumentare le esportazioni.
Secodo i risultati emersi dal terzo Summit Made in Italy (Sole 24 Ore) negli anni 2007 / 2011 l’onda di incremento della domanda di Made in Italy da parte dei cosiddetti paesi emergenti subirà una ulteriore positiva impennata.
L’attrattiva del prodotto italiano è dunque molto forte, ma anche in questo caso la debolezza strutturale del Sistema Italia, e delle PMI italiane, potrebbe rappresentare un ostacolo insuperabile. Ad oggi, circa il 50% dell’export italiano verso la Cina è rappresentato da macchinari e impianti industriali, settore nel quale manteniamo una buona competitività, ma lo spazio di incremento nel settore consumers, quello in cui il Made in Italy esprime il massimo della sua potenzialità, è veramente enorme.
Considerando che l’Italia rappresenta, come dicevamo, l’1% dell’import cinese, e che metà è fatto da macchine e impianti industriali, significa che il nostro export di prodotti consumers verso la Cina rappresenta circa lo 0,5% dell'import cinese.
A volte è quasi umiliante per gli espatriati italiani in Cina vedere come nel grande mondo dei consumi cinesi l’Italia sia davvero una cenerentola.

L'errore strategico del Sistema Italiana per affrontare la sfida cinese

Estratto dal libro Affari Cinesi

Ḗ stato commesso un errore di fondo dal parte del sistema economico italiano rispetto alla Cina. Un errore drammatico dai cui effetti ora è difficile uscire. Il fenomeno Cina è esploso negli ultimi 10 anni, con un picco negli ultimissimi anni, ma è iniziato in sordina almeno 20 anni fa.
Qual’è stata la reazione del sistema industriale italiano al risveglio dell’economia cinese? Fatte salve rare ed encomiabili eccezioni, la reazione è stata la stessa che si è avuta all’apparire (30/40 anni fa) del fenomeno Giappone.
Quando il Giappone ha iniziato ad invadere, negli anni 50-60 il mondo occidentale con i suoi prodotti a poco prezzo, (plastica, elettronica, ecc.), il sistema italiano ha pensato che si trattasse di un fenomeno temporaneo, un fuoco di paglia che si sarebbe estinto nel giro di pochi anni, implodendo nelle sue stesse contraddizioni (le stesse che oggi rileviamo nei cinesi),
Ḗ inutile ricordare com’è finita, cosa sia diventato il Giappone e la sua economia, nel panorama mondiale, è sotto gli occhi di tutti.
Con la Cina si è adottata la stessa identica analisi.
Anziché avvicinarsi a questo nuovo mondo per capirne le minacce, per valutarne le occasioni e le opportunità, si è snobbato il fenomeno, certi che prima o poi si sarebbe sgonfiato, e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Le imprese italiane si sono quindi arroccate a difesa delle proprie quote di mercato mondiali, con due strumenti: uno intelligente ed uno meno.

Grandi aziende, capaci di pensare in grande e dotate di vera capacità di innovazione e sviluppo, hanno intensificato i valori intrinseci ed il valore aggiunto dei loro prodotti, creando una vera barriera all’accesso dei prodotti cinesi.
Creatività, stile, design, tecnologia, bellezza, insomma Italian Style, hanno fatto da motore al grande sviluppo del Made in Italy, costruendo barriere di accesso molto elevate ai loro mercati, mettendo al riparo queste aziende dalla minaccia cinese, e consentendo loro di accrescere i profitti, che ora stanno usando per massicci investimenti commerciali proprio in Cina.
Questo è stato lo strumento intelligente.
Lo strumento, diciamo così, meno intelligente, è stata la strenua difesa delle quote di mercato attraverso l’erosione dei margini industriali. Si è cioè cercato di mantenere posizioni commerciali, clienti, quote, tentando di fare fronte alla concorrenza dei Cinesi sul versante del prezzo, con l’ovvio risultato di erosione dei margini. Ḗ stato un atteggiamento suicida, che ha avuto come effetto l’impoverimento delle imprese, che ora sono incapaci, sul piano finanziario, di far fronte all’innalzamento del livello tecnologico ed estetico cinese, che sta minacciando anche le produzioni più sofisticate. Dall’altro lato, questa politica non ha comunque garantito il mantenimento di quote di mercato, delle quali le industrie cinesi si stanno pian piano impossessando sugli scenari mondiali.
Quando si è compreso che la battaglia commerciale contro il gigante asiatico non si sarebbe potuta vincere in questo modo, si è passati alla richiesta a gran voce di dazi doganali e protezionismi vari contro l’export cinese, sostenendo che le imprese cinesi facessero dumping sui loro prodotti, senza ricordare che il 60% di questo export è fatto da imprese straniere o imprese partecipate da capitale straniero. La tipica zappa sui piedi.

Cinesi: collettivismo e individualismo. Il mix del successo

Estratto dal libro Affari cinesi

Per finire il panorama sulle differenze culturali e sugli ostacoli che queste comportano nel mondo degli affari, un cenno su una credenza popolare in occidente: quella che il fenomeno economico cinese sia legata alla tradizione della collettività, della massa indistinta, del popolo tutt’uno . Il fenomeno cinese è spesso descritto come un’onda inarrestabile per il fatto che è compatta, che si muove tutta nella stessa direzione. Questo è assolutamente vero, ed è questa la ragione dell’efficacia degli interventi pubblici di indirizzo in economia, ma è vero anche che in questa situazione culturale e sociale si è paradossalmente innescato, come un detonatore, l’individualismo esasperato, la voglia personale di emergere, di arricchirsi, di diventare i numeri uno di qualcosa, di assumere visibilità e apprezzamento sociale, come se il capitalismo alla cinese di Deng Xiao Ping avesse spalancato le porte non solo alla liberalizzazione economica, ma anche allo sviluppo delle potenzialità individuali, prima inibite o mascherate dalla prevalente cultura collettivista.
Mettete insieme questi elementi apparentemente contradditori, e avrete una delle spiegazioni sulla forza dell’arrembaggio cinese alle economie occidentali.

Vendere in Cina. Italian Style - China Made

Estratto dal libro Affari cinesi

Esistono gia numerosissimi esempi di imprese italiane che stanno operando con questa logica: prodotto italiano, produzione cinese. Un settore di punta nel quale molte PMI italiane sono gia attive, è quello dell’automotive.
Il passo veloce dei grandi marchi europei di automobili, da anni delocalizzati in Cina, ha costretto molti produttori italiani a fornire dalla Cina gli stessi prodotti precedentemente forniti dall’Italia. Credo che nessuno dubiti del fatto che le componenti fornite a Vokswagen, Piaggio o Toyota da aziende straniere in Cina debbano essere di qualità analoga a quelle prima fornite dall’Italia, dalla Germania o dal Giappone.
Allo stesso modo ci sono esempi di ottimizzazione e integrazione dei sistemi produttivi da parte di imprese italiane, che si mettono in condizione di maggiore competitività sui mercati mondiali, permettendo a loro partner cinesi di produrre in Cina per loro conto, o per la distribuzione in JV sul mercato cinese (mediante trasferimento di tecnologia, o semplicemente con contratti di licenza), prodotti finiti, semilavorati o componenti di progettazione italiana.
In questo modo le imprese italiane riescono a rimanere competitive in un mercato dal quale Cina e India le stavano estromettendo, grazie ad un migliore rapporto qualità/prezzo.
Produrre in Cina componenti, macchine, impianti, mantenendo in Italia il valore software rappresentato da R&D, progettazione, styling, si sta rivelando, per molte imprese italiane, un vero toccasana per sostenere il Brand sui mercati internazionali e i tassi di occupazione in Italia, senza rinunciare ai margini che l’esasperazione competitiva ha eroso negli ultimi anni.

Chyuppies: la nuova classe di consumatori cinese. Perche' il Sistema Italia non li intercetta

Estratto dal libro Affari Cinesi

In effetti, il grande mercato emergente cinese del consumo si sta aggregando intorno a quel target di consumatori che ho definito chyuppies - Chinese yuppies - formato prevalentemente da giovani sotto i 32/35 anni, con due stipendi intorno ai 1.000 Euro mensili in famiglia, con forte propensione agli acquisti, fortemente attratti dallo stile italiano, e occidentale in generale.
Una recente indagine pubblicata da Newsweek su 500 giovani cinesi appartenenti a questa fascia di consumatori, ha evidenziato come il 90% di queste persone pensi di spendere nel 2008 molto più di quanto abbia speso nel 2007, in considerazione di una aspettativa di incremento dei loro salari variabile da un + 10 ad un + 25% nei prossimi due anni.